lunedì 25 marzo 2013

Riflessioni di James Cook

Mentre nella madrepatria inglese i suoi superiori della Royal Society si godevano qualche spicchio di sole estivo, James Cook si trovava in Nuova Zelanda ed era pieno inverno. In Inghilterra erano convinti che un grosso continente meridionale fosse ancora da scoprire, esplorare e colonizzare. La prima fase era stata affidata proprio a James, che nel 1772 si imbarcò verso sud riuscendo, qualche mese dopo, nell'impresa di essere il primo uomo a superare il circolo polare antartico. Ora la sua nave era ancorata in attesa di poter dispiegare nuovamente le vele, evento previsto per la successiva estate. Novembre 1774, pensava James. Fino a quel momento nessuna nuova terra era stata avvistata dall'albero maestro, nessuna bandiera sventolava su nuovi continenti o, per meglio dire, nuove colonie dell'impero di Sua Maestà.
Sulla nave, pochi uomini erano al lavoro. La preparazione per la partenza era ancora lontana. James, però, non lasciava quella che riteneva la sua vera casa. La HMS Resolution, questo era il nome della sua casa, non l'aveva abbandonato negli ultimi due anni, anche in mari maledetti e mai attraversati.
Quello intrapreso, era il secondo grande viaggio di James Cook. Il primo era interamente documentato nei suoi diari di bordo, diventati, in patria, un punto di riferimento anche per la comunità scientifica, grazie ai contenuti trasversali tra scienza, politica e arte della navigazione. Singolare era il fatto che una vasta fonte di conoscenza come quella, fosse nata dalla penna di un uomo la cui istruzione era minima, appena sufficiente per entrare nella Royal Navy.
Forse il suo amore per la scrittura era la naturale conseguenza di un animo inquieto. Alcuni raccontavano di lui come di un ragazzo schivo, abituato, negli anni della giovinezza, a lasciare il piccolo villaggio in cui viveva per inerpicarsi sulle colline circostanti, in cerca della solitudine che tanto amava. Ora si inerpicava sulla torre di comando della sua nave, ed era lì che incontrava il suo diario.
Non era periodo di appunti di scienza, né di viaggio. Rifletteva. Era un'altra volta circondato da mari nuovi, ma questa era la sua vita. Oggi guardava avanti, guardava al viaggio che doveva affrontare, ne analizzava le motivazioni nell'attesa costante di potersi finalmente muovere ancora. Il suo amore era per il viaggio in sé o per la patria e la missione? Non c'erano dubbi. Non c'era in lui un interesse per scoprire, ammesso che ci fosse, il nuovo continente. Non aveva provato niente per il primato ottenuto mesi prima.
Viaggiava e lo faceva per sé. Gli sembrava di essere libero, padrone effettivo della sua esistenza. Neanche lui sapeva da cosa scappava, forse non scappava, forse in cima a quella collina e in mezzo ai mari incontrava qualcosa che diversamente non poteva vedere. Raccontò a quelle pagine bianche di quanto era limitante dover viaggiare al servizio di qualcun'altro e di quanto, però, fosse utile per continuare e non fermarsi mai. Non si sarebbe mai fermato e così si poteva riassumere la sua vita. Non gli importava nulla di quello che andava a fare là fuori, quello che contava era la sua corsa. Doveva continuare a correre.  Forse quel diario non l'avrebbe consegnato a fine viaggio...

lunedì 18 marzo 2013

Come se niente fosse

Il giovane principe soffriva. Soffriva per la perdita della sua amata e per lungo tempo continuò a combattere con quel dolore, ma niente sembrava poter cicatrizzare la ferita.

Finché un giorno pensò che avrebbe dovuto ignorare il male.

Combatteva come se non avesse mai combattuto per lei.
Abitava il castello come se in quel castello non avesse mai abitato con lei.
Dormiva come se non avesse mai dormito al fianco di lei.

Aveva così imparato a nascondere dietro un velo scuro la presenza del passato.

Eppure il tempo non gli diede ragione. Convinto com'era di essersi liberato dalla sofferenza, il principe si era invece addentrato in qualcosa di ben peggiore. Viveva la sua vita fuggendo, nascondendosi dall'unica cosa da cui non è possibile nascondersi: noi stessi.

Il principe, che era tanto abituato a passare accanto al suo passato come se niente fosse, non si accorse che giorno dopo giorno la sua intera vita divenne un "come se niente fosse", in cui nulla trovava significato, nulla poteva più risvegliare un sentimento. Non capì mai di essere il risultato del suo passato. Non capì che, ignorandolo, avrebbe ignorato se stesso.

Del principe, si perse presto ogni traccia. Non che fosse scomparso, era sempre lì, nel suo castello, ma mai nessuno riuscì più a parlare con quell'uomo che un tempo era il principe.


Andrea